Avevo 16 anni la prima volta in cui uno dei miei giocatori di D&D, uno nuovo, arrivato da poco e alla prima esperienza con il mondo del gioco di ruolo, mi chiese se fosse possibile che il suo personaggio fosse un guerriero mercenario, con un cannone nel braccio, capace di brandire con una sola mano uno spadone dalle dimensioni esagerate (non potete immaginare quanto fu utile per tutti i fan del manga l’introduzione del talento “presa della scimmia” in D&D).
All’epoca non avevo ancora sentito parlare di Berserk, né conoscevo il nome di Kentarō Miura ma, mosso dalla curiosità, volevo informarmi e chiesi al ragazzo in questione di poter dare un’occhiata ai volumi da cui aveva tratto l’idea del suo, all’epoca poco originale, “Gatzu”.
Erano altri tempi (non esistevano ancora né Internet né i cellulari) e noi eravamo un gruppo di adolescenti brufolosi capaci di divorare tonnellate di manga e comics, o passare interi weekend (notti comprese) tra una partita di basket (chissà come mai) e una sessione di D&D.
Sapete, da quel lontano giorno, quanti altri aspiranti avventurieri si sono seduti al tavolo con me presentandomi come personaggi i loro guerrieri mercenari ispirati a Gatsu o Grifis? Stamattina ne ho contati a memoria più di una dozzina.
Penso che questa sia la testimonianza più semplice e diretta del profondo segno lasciato dall’opera di Kentarō Miura in almeno tre generazioni di lettori.
La morte del maestro, a soli 54, anni lascia incompiuta la sua opera più famosa, quel Berserk – iniziato nel lontano ottobre del 1989 – che lo ha portato a diventare una leggenda nel mondo dei manga e la cui conclusione, adesso, non vedremo mai.
Scandita da lunghe pause, la produzione del suo seinen è sempre stata fortemente travagliata (fatto, questo, che ha contribuito a crearne la leggenda) e conflittuale, forse proprio per l’oscura forza di personaggi troppo sfaccettati ed emotivamente complessi per restare vincolati dai limiti di carta e inchiostro.
L’opera di Miura, in particolare Berserk, è un lungo viaggio attraverso il buio che alberga nell’animo umano, una perigliosa esplorazione delle peggiori bassezze di cui gli uomini possono essere capaci. Un’ordalia che per quanto cupa e violenta, è sempre stata disturbante nella sua tremenda veridicità. La follia, l’odio, la sete di potere, la violenza fisica, mentale e sessuale sono sempre state trattate per quello che sono: nefandezze dalle quali neanche i migliori tra noi riescono mai del tutto a liberarsi, capaci di spezzare perfino uomini dalla volontà ferrea.
Una visione fortemente negativa dell’esistenza, bilanciata da quella malinconica e solitaria scintilla di luce, che continua a sopravvivere nonostante tutto il male cui ciascuno assiste ogni giorno.
Il tratto del maestro, a volte semplice altre, invece, incredibilmente sovraccarico, ha sempre reso perfettamente la tensione nevrotica dei corpi quanto la dirompente potenza emotiva dei suoi personaggi, tanto da rendere epiche e memorabili molte delle sue tavole.
Il suo immaginario, privo di eroi e pieno di antieroi dalle motivazioni realisticamente complesse nella loro semplicità, influenza da anni tanto il mondo del fumetto quanto quello del fantasy in generale e, come testimoniato dai numerosi aspiranti emuli, le sue creazioni sono ormai divenute metro di paragone per qualsiasi altra opera o personaggio venuto dopo.
La Compagnia dei Falchi, i 5 della Mano di Dio, l’ammazza draghi, il cavaliere del teschio e soprattutto i personaggi principali: Gatsu, Grifis, Caska e Puk, sono parte integrante di quella cultura nerd che lega milioni di persone nel mondo.
Per capire l’importanza rivestita da Miura basta (forse dovrei dire bastava) andare a qualsiasi fiera di settore, per scoprire come la stragrande maggioranza delle persone, anche nel caso in cui non abbia mai effettivamente letto il manga, sappia riconoscere senza fatica l’iconica “spada di Berserk”.
È davvero con la morte nel cuore, quindi, che salutiamo Miura insieme a tutti i suoi personaggi.
“Have no fear for real, it’s just a turning wheel / Once you start up, there’s no other way / Don’t put your eyes on boots, step forward your roots”