Bentrovati amici lettori.
Oggi vi proponiamo la recensione di Sherlock Holmes e l’orrore di Cthulhu, di Lois H. Gresh ed edito da Fanucci Editore.
Si tratta del secondo volume mesh-up della trilogia che vede contrapposti il celebre investigatore nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle ai miti nati dalla follia di H. P. Lovecraft.
Se avete perso la nostra recensione del primo volume, Sherlock Holmes e la minacci adi Cthulhu, vi ricordiamo che potete trovarlo a questo link.
Allerta spoiler! Se non avete letto il primo volume fermatevi qui!
Il primo scontro tra la setta di Dagon, che vuole riportare gli Antichi nel nostro mondo, e Sherlock Holmes ha lasciato l’investigatore con una parziale vittoria sull’infernale macchina creata da Jacobs padre e tanti dubbi a cui non ha ancora trovato risposta.
Mentre la ragione deve, per la prima volta nella vita di Holmes, cedere il passo al sovrannaturale, il Dottor Watson deve fare i conti con strani sintomi che sembrano condurlo, passo dopo passo, sulla strada della follia.
I due di Backer Street non possono però lasciarsi andare: Londra è nuovamente sotto minaccia e mentre i dagonisti si propagano come un cancro, esseri mostruosi prendono il dominio del Tamigi, affondando navi e mietendo vittime.
Nel frattempo, il tenebroso Moriarty approfitta del caos per far dilagare una nuova droga basata sulle macchine per l’elettroshock. Le sue ambizioni di dominio lo porteranno a immischiarsi con la setta, di cui brama il potere e la ricchezza che gli permetterebbero di conquistare il mondo.
Tanta carne al fuoco per questo secondo volume i cui eventi, salvo poche digressioni, si concentrano tutti nella Londra ottocentesca raccontata da Doyle.
Come nel primo volume, l’ambientazione è pressoché perfetta, incentrata in modo particolare sui docks e nei bassifondi con qualche puntata al Club Diogene.
Anche in questo secondo episodio abbiamo una narrazione corale, in cui ogni capitolo punta l’occhio su un protagonista differente.
Da questo punto di vista, una new entry è rappresentata da Moriarty del quale, per la prima volta, possiamo approfondire i pensieri e la psicologia con un risultato, purtroppo, estremamente deludente (a parere personale).
Niente rimane del genio malefico, degno avversario della brillante mente di Sherlock Holmes, l’unico in grado di stare al passo con la sua intelligenza.
L’affascinante personaggio creato da Doyle viene qui dipinto come un bruto appena più sofisticato. Un essere che gode della violenza; che anziché usarla con freddo raziocinio, si nasconde dietro una finestra, acquattato come un bambino, per godersi lo spettacolo ansimando come un maniaco.
La sua sete di potere lo rende miope, vigliacco, incapace di cogliere il quadro generale della situazione.
Nessun piano raffinato, nessuna mossa sotterranea contorta e geniale; il suo motto, in questo libro potrebbe essere “gonfiateli di botte”. Un vero peccato.
Meglio, rispetto al primo volume, invece, il duo Watson e Sherlock.
La voce narrante rimane quella del dottore, ma in questa parte della storia si sente di meno il disagio del “personaggio non giocante” (cit. recensione del primo volume della saga) grazie all’impronta più razionale della trama.
Holmes ha ormai accettato, in qualche modo, l’esistenza degli esseri legati alla setta di Dagon e lo sconcerto iniziale si è trasformato nella sua tipica fredda razionalità che cerca una soluzione non al quadro generale, ma al prossimo passo sulla strada per fermare la distruzione.
Come nella prima parte della storia ha trovato il modo di fermare la macchina infernale, in questa, tramite la risoluzione di un caso di omicidio (più tipico delle sue corde) trova la via per contrastare la piaga delle creature che infestano il Tamigi.
Con l’investigatore tornato nel suo elemento, Watson può riprendere il suo ruolo di narratore e di spalla con risultati più felici e coerenti.
Lo stile di Lois H. Gresh continua a essere il suo punto di forza.
Una narrazione lineare, ricca di colpi di scena, con cliffangher e ganci a conclusione di ogni capitolo che assolvono il loro compito e stimolano la lettura.
Sempre valida, poi, la scelta dei capitoli brevi, che saltano da un personaggio all’altro mantenendo sempre via l’attenzione del lettore.
La trama, invece, non è all’altezza della scrittura.
Se il primo volume era fin troppo ricco di avvenimenti sovrannaturali, in questo secondo capitolo si passa da un incipit al cardiopalma per cambiare subito dopo registro.
I capitoli dedicati alla clinica psichiatrica e a Moriarty suonano come riempitivi, come se l’autrice non sapesse come raggiungere il numero di pagine stabilito.
Poco importa che rappresentino un gancio per il terzo volume e che le indagini sul manicomio e sulle macchine per l’elettroterapia forniscano poi all’investigatore il mezzo di raggiungere il suo scopo.
La mente brillante di Holmes non viene messa alla prova e la sensazione generale che lascia questo romanzo è di pura delusione.
Non aiuta neppure il finale shock che, nelle intenzioni dell’autrice, avrebbe probabilmente dovuto lasciare il lettore con il fiato sospeso.
Gli amanti di Lovecraft lo troveranno pretenzioso e assurdo, soprattutto asettico, privo di quel boato metaforico che avrebbe dovuto seguire l’annuncio in chiusura.
Speriamo vivamente che la conclusione della trilogia possa risollevare le sorti di quest’opera che nel primo capitolo, seppure con qualche perplessità, ci aveva resi speranzosi, ma che con questo volume ci ha lasciato decisamente con l’amaro in bocca.
Voi lo avete già letto? Cosa ne pensate?