Alastan Alpherd è stato un re giusto e gentile, di quelli tanto amati dal popolo quanto detestati dai nobili. Nei quarantasei anni suo lungo regno, ha lavorato duramente per cambiare in meglio la vita di tutti. Si è fatto molti nemici lottando sia contro le invasioni dei barbari Hurd che contro i privilegi della nobiltà, facendo comunque il possibile per stemperare le ataviche inimicizie tra le sette casate. Non lo ricordo perfettamente, ma il nostro primo incontro avvenne in una galera umida e sporca, poco dopo la morte dei miei genitori. I ranger di Kasne mi trovarono tra le rovine fumanti della nostra fattoria. Loro non avevano idea di cosa fosse accaduto, sapevano solo che la mia famiglia mi aveva cacciata sei mesi prima. Trovarmi, ricoperta di ustioni e ferite, accanto ai loro corpi carbonizzati, portò quegli uomini di legge a pensare che fossi responsabile di un crimine orrendo. Di Aaron non c’era traccia e io ero troppo scossa per opporre resistenza o cercare di spiegare loro cosa fosse accaduto realmente. Venni trascinata via in catene, percorrendo in stato confusionale la strada vecchia, diretta verso Kasne. Almeno questo è quanto sono riuscita a ricostruire dai racconti di quegli uomini che, soprattutto grazie al pugno fermo del loro comandante, mi trattarono con un minimo di umanità. So per certo che uno di loro propose di impiccarmi sedute stante. Me lo confessò due anni dopo, poco prima che mio fratello lo uccidesse. Il villaggio aveva una piccola prigione sotterranea, dove venni richiusa dal Conestabile. Viste le mie condizioni e le ferite riportate dopo lo scontro con Aaron, l’uomo era convinto che sarei morta prima dell’alba, per questo attese prima di allertare il Consiglio dei Saggi. Passai la notte a languire in quella cella umida, con la mente annebbiata dal dolore che mi attraversava il corpo mentre completavo la mia transizione in ciò che sono adesso. Il dono dell’Idra guarì le mie ferite, almeno quelle fisiche, tanto che al sorgere del sole non mostravo più alcun segno dello scontro Aaron. Tuttavia, allora come oggi, ricordavo chiaramente l’odio nella voce di mio fratello mentre dava alle fiamme la nostra casa, così come la disperazione sui volti dei miei genitori agonizzanti. Ero sola. Una contadina cacciata da casa, confusa e a stento capace di parlare, con un’accusa di omicidio pendente sulla testa. Eppure il re di Naler volle incontrarmi. Lo stesso funzionario che mi aveva data per morta, aveva riferito l’accaduto, compreso il dettaglio dei miei insoliti occhi da rettile, a un dignitario di corte. La voce giunse al sovrano, che volle raggiungermi immediatamente. Attraversò la foresta ombrosa in piena notte, pur di evitare che venissi processata e impiccata al mattino prima di potermi vedere con i suoi occhi. Ovviamente, sospettava cosa fossi diventata, per questo volle incontrarmi il prima possibile. In quel momento la mia esistenza, o meglio la presenza di una nuova erede dell’Idra, per lui era quasi un segno divino, una sorta di evento previsto e lungamente atteso. Oggi so della profezia che formularono quando ascese al trono, ma all’epoca mi sembrava tutto incredibilmente assurdo.
Precipitandomi nell’accampamento della casata Alpherd, supero le sentinelle correndo senza fermarmi tra le tende cremisi striate d’avorio e gli stendardi con il corno da caccia bianco in campo rosso. Sto violando il protocollo formale, che mi imporrebbe, come all’interno di un castello, di essere annunciata prima di entrare in un accampamento, ma per fortuna i guardiani cremisi, i soldati della casata, mi conoscono molto bene. Questo rende meno grave la mia infrazione, ma piombando all’interno dell’ampia tenda centrale, avverto ugualmente su di me gli sguardi increduli dei presenti. Nessuno dei soldati ha pensato di fermarmi, ma la folla di dignitari si chiude davanti a me con un gesto chiaro: non vogliono che mi intrometta. Molti, tra loro, sono sempre stati contrari al rapporto di fiducia instauratosi negli anni tra me e Alastan, ma ora che il re non c’è più mostrano apertamente la propria ostilità nei miei confronti.
«Idioti! Fatevi da parte!» La voce della regina Sarah si leva imperiosa sul mormorio dei presenti, tradendo al contempo tutta la propria disperazione. Nessuno dei cortigiani sembra però volerle obbedire, costringendomi a usare la forza. Mi faccio largo tra loro avanzando risoluta, sfidandoli a fare qualcosa di più che rimanere impalati a fissarmi con sguardi torvi. Da bravi vigliacchi quali sono, nessun degli stupidi nobili agisce apertamente contro di me, che li supero a spintoni restando poi impietrita nel vedere il corpo di Darren Alpherd giacere scompostamente sullo spesso tappeto che funge da pavimento. I suoi occhi sono sbarrati, congelati in un’espressione di puro orrore. Quelli di sua madre, in ginocchio accanto al corpo, sono invece carichi di dolore e mi implorano in silenzio di fare qualcosa. “Lei non dovrebbe essere qui”, è il mormorio che attraversa la stanza mentre mi chino sul cadavere del primogenito della casa Alpherd chiudendone gli occhi. Sarah si aggrappa al mio braccio supplicandomi con lo sguardo di fare qualcosa, di salvare suo figlio. Il mio stomaco si contorce per il dispiacere: io non posso riportare in vita i morti. Il morso dell’Idra non ha mutato solo il mio corpo: morire e tornare in vita ha alterato anche i miei sensi e percepisco chiaramente che il cuore del giovane ha smesso di battere. La sua pelle è fredda, le membra contratte in una posizione innaturale, come se avesse lottato non contro un nemico esterno, ma contro se stesso. Nell’aria percepisco un odore che non riconosco. Posso ipotizzare che provenga da una pianta, ma nella tenda non sono presenti vegetali a me sconosciuti. Nonostante l’espressione del suo viso sia congelata in un rictus di dolore e paura, il ragazzo non mostra segni di colluttazione o ferite procurate da armi. Ne deduco che qui dentro non sia entrato un nemico, almeno non uno in carne e ossa. Ignorando lo sguardo implorante della regina, ora tornata a essere solo la reggente della propria casata, mi alzo muovendomi all’interno dell’ambiente. Seguendo l’odore, noto il calice fuori posto e la macchia di vino sul tappeto. Qualcuno ha cercato di coprirla con un cuscino, ma quell’odore dolciastro non può essere nascosto in questo modo, almeno non a me. Mi chino per saggiare la sostanza con le dita, restando sorpresa che reagisca bruciando a contatto con la mia pelle, che si ricopre di piccole squame. Una forma di autodifesa che il mio corpo manifesta quando subisco ferite gravi, spesso provocate dalla magia.
Mentre le persone intorno a me cercano tracce di qualcuno entrato e uscito senza farsi notare, io costruisco la mia ipotesi. Senza dubbio, chi ha commesso il delitto è una persona capace di svanire letteralmente nell’aria, esattamente come mio fratello, ma usare il veleno non è nel suo stile. Eppure, il suo nome viene pronunciato sottovoce da più di uno dei presenti. I sospetti mutano rapidamente in accuse, costruendo un complotto del quale io sarei parte. So che ribattere a parole è impossibile: Aaron è un ex-criminale che ha apertamente minacciato i reggenti delle casate, un individuo le cui abilità sovrannaturali gli avrebbero permesso di entrare e uscire indisturbato. È vero, mio fratello non possiede più alcuna morale e spesso uccide seguendo l’istinto o le emozioni, ma a che scopo compiere questo delitto? Darren non è stato massacrato in preda a un raptus di violenza, ma assassinato in maniera lucida, subdola e metodica. Ma posso comprendere che Aaron sia il primo a essere sospettato e ascolto in silenzio e senza ribattere le accuse formulate e mezza bocca contro di lui. Tuttavia sono abbastanza sicura che non corrispondano alla verità. È probabile, invece, che il colpevole conti proprio sulla paura che i cortigiani hanno sempre avuto di me e di mio fratello per far perdere le proprie tracce. Gli indizi mi portano a credere che qualcuno abbia avvelenato Darren, ma mi sfugge il perché e le troppe persone accorse all’interno della tenda stanno cancellando gran parte delle prove semplicemente con la propria presenza.
«Fuori! Tutti fuori!» sibilo spazientita con la mano sull’elsa della spada. Il tono perentorio e il mio sguardo da rettile convincono i meno coraggiosi a obbedire, ma alcuni dei nobili credono di potermi sfidare e mettono a loro volta mano alle armi. «ANDATE VIA! È UN ORDINE!» impone la reggente alzandosi in piedi furibonda. In questo momento, con gli occhi rossi e gonfi per le lacrime, con il corpo tremante per il dolore e la rabbia, Sarah fa indubbiamente più paura di me. Qualche attimo dopo, all’interno rimaniamo solo in quattro: io, lei, l’ex primo consigliere di corte e il Maresciallo della casata Alpherd, i cui soldati hanno circondato la tenda e cacciato via i funzionari di corte.
«Lukas avrebbe dovuto aprire la cerimonia con la rinuncia ufficiale della nostra casata…», inizia l’ex membro della corte alto e slanciato, la cui corta barba nera lo fa apparire più cupo di quanto non sia in realtà. «Leggendo l’elogio per suo padre», conclude mesto il capo delle guardie. La donna, dal canto suo, continua a piangere tenendo lo sguardo puntato su di me, ignorando quanto accade intorno a noi. Non sono convinta di poterla aiutare, ma di certo posso provarci. Ho una teoria ma non le prove per sostenerla. Sono abbastanza sicura il ragazzo sia stato avvelenato; non so il perché, però, ma in questo momento non importa. Il veleno è un’arma con cui ho una certa familiarità, dopotutto quello dell’Idra mi scorre nel sangue annullando gli effetti di qualsiasi altra sostanza, cosa su cui conto per sopravvivere alla pazzia che sto per fare. A dire il vero non ho idea di cosa comporteranno le mie azioni, ma se esiste ancora una possibilità di invertire gli effetti della sostanza devo agire subito. Ogni attimo di esitazione è tempo prezioso che scivola via. Prendendo un respiro profondo, cercando di calmare il cuore che mi batte nel petto, ripenso a una critica mossami più volte da mio fratello: “Sei troppo emotiva per essere metà rettile”, cosa sulla quale ha probabilmente ragione. Ignorando la montagna di dubbi che si affastellano nella mia testa, tra lo stupore generale mi inginocchio accanto al corpo esanime di Darren. Sua madre non reagisce mentre sollevo il busto del figlio tenendone il capo tra le mani. I dignitari presenti provano a dire qualcosa, ma Sarah li zittisce con un gesto della mano. Chiedendo perdono allo spirito di suo padre, chiudo gli occhi e snudo le zanne retrattili ereditate dall’Idra, affondandole con un colpo secco nel collo del ragazzo. Respiro, cercando di mantenere la calma, lasciando che siano i sensi da rettile a guidarmi, tenendo fuori tutto il resto. Il mondo rallenta e sfoca mentre la mia percezione cambia, permettendomi di individuare il veleno nel corpo del ragazzo. Percepisco la tossina nel suo sangue e lentamente, ispirando ed espirando in maniera ritmica, la risucchio, una goccia dopo l’altra, purificando progressivamente il corpo del giovane.
Il racconto a puntate “Gli eredi di Arcania – I sette pretendenti” è scritto per Associazione Culturale Universo Fantasy da Francesco Lodato.
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