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LA PASSIONE PER LA SCRITTURA, L’ARTE E IL FANTASY: INTERVISTA A SEBASTIANO BROCCHI

Intervista Sebastiano Brocchi

Sebastiano B. Brocchi, classe ‘87 è un filosofo, scrittore, artista e creativo multimediale svizzero di Collina d’Oro. Le sue opere sono incentrate soprattutto sulla simbologia e la spiritualità. Pubblica il suo primo libro di saggistica nel 2004, “Collina d’Oro – I Tesori dell’Arte”, venendo definito un giovane dall’anima antica (Mutamenti), talento precocissimo e straordinario dell’esoterismo (Hera), la nuova promessa delle lettere ticinesi (Extra).
Seguono “Collina d’Oro Segreta” (2005) e “Riflessioni sulla Grande Opera” (2006), considerato dagli specialisti un testo magistrale di alchimia. È del 2009 il saggio “Favole Ermetiche”, dedicato all’interpretazione esoterica delle fiabe tradizionali. 
La prima opera di narrativa, “L’Oro di Polia”, è del 2011.

Nel 2012 vede la luce il primo volume della saga dei Pirin, intitolato “Le memorie di Helewen”, un libro che, oltre a segnare l’esordio dell’autore nel genere fantasy, costituisce una piccola rivoluzione nel vasto panorama di questo tipo di letteratura, proponendo un connubio tra testo e immagini che porterà il lettore a scoprire via via un mondo immaginario studiato fin nei minimi particolari.

Un continente, la terra di Gaimat, quattordici fiorenti civiltà (tra cui, appunto, i Pirin, popolo di semidei nati dall’unione di un uomo e una fata), una profusione di oggetti magici, luoghi incantati, in un originalissimo intreccio di storie fiabesche ispirate alla mitologia antica e al folklore medievale. Il secondo volume della saga, “Hairam Regina”, viene pubblicato nel 2016, mentre il capitolo conclusivo della trilogia, “Le Gesta di Nhalbar”, vede la luce nel 2017. 

Alla saga dei Pirin si ispira il videogioco “Eselmir e i cinque doni magici” (2018), realizzato dallo stesso Brocchi in collaborazione con lo studio indipendente Stelex Software. Il gioco ha ottenuto ottime recensioni internazionali, e c’è chi l’ha definito una delle avventure grafiche più belle e avvincenti mai create da una software house indipendente (Projectnerd).

Brocchi ha anche pubblicato alcuni racconti, fra cui segnaliamo “Il Dipinto”, raccolto nell’antologia “Là dove sorridono le muse” (Edizioni Ulivo, 2014).

Tra il 2008 e il 2012 collabora con diversi portali, blog e riviste specializzate nell’esoteria e il simbolismo.

Come artista ha sperimentato diverse tecniche, dal disegno a matita alla fotoelaborazione digitale, dall’acquarello all’acrilico; senza contare la passione per il design, che l’ha portato, tra le altre cose, a creare il marchio automobilistico virtuale Akenaton Motors, fondato nel 2008. 
A partire dal 2017, Sebastiano decide di lanciarsi anche nel campo del filmmaking, iniziando l’esperienza di regia (tutt’ora in corso) del film di fantascienza “Symmes”, con Christina Rosamilia e Alberto Bonvento.

La Redazione ringrazia Sebastiano Brocchi per la gentilezza e la disponibilità con le quali ha risposto alle domande.

1. Un progetto ambizioso la raccolta d’illustrazioni fantasy “Pirin Civilizations ArtBook”. Parlaci di come è nata la tua idea collegata alla tua saga letteraria.

Senza naturalmente voler generalizzare, credo si possa affermare che una buona parte dell’attuale produzione letteraria (e non solo) riconducibile al genere high- fantasy abbia delle ambientazioni più o meno riconducibili a uno pseudo medioevo europeo, fatto di castelli, rovine, lande boscose e selvagge, magari qualche città turrita e cinta da mura. Anche per quanto riguarda i popoli o “razze” esistono delle tipologie chiaramente di tendenza, per cui è poco frequente imbattersi in etnie che non ripropongano gli stilemi ormai “canonici” basati perlopiù sui lavori di Tolkien o i vari D&D. Nella mia saga, esistono indubbiamente vari riferimenti a tutto questo, ma essi rappresentano solo una parte marginale di quello che, di fatto, è un mondo dalla lore incredibilmente complessa e dal proprio specifico background, che porta il lettore a incontrare e conoscere diverse civiltà uniche. Con ciò intendo popolazioni e razze che si distinguono le une dalle altre sia per i tratti fisici che quelli culturali (abbigliamento, architettura, artigianato…).

Questo può far capire in che modo la saga si presti particolarmente alla volontà, se non quasi alla necessità creativa, di dare un’immagine visibile e non solo una descrizione testuale (per quanto vivida e articolata possa essere) al mondo narrato. Fin dal suo esordio editoriale avvenuto nel 2012, la saga ha quindi promosso un proficuo connubio tra parole e immagini, ma un conto è corredare d’illustrazioni dei romanzi, un altro è poter dare agli aspetti artistici tutto il respiro che meritano in una pubblicazione specifica, a essi dedicata. Perciò posso dire che, in un certo senso, l’idea di questo ArtBook mi abbia accompagnato “in nuce” già da diversi anni, ma essa ha dovuto maturare, accrescersi, fino a poter raccogliere i frutti di uno sviluppo che, in fin dei conti, abbraccia più del “mezzo del cammin di nostra vita”. Sì perché in esso confluiscono idee che hanno avuto modo di costruirsi nel tempo, con un costante e appassionato “labor limae” che le ha sempre più affinate e completate.

2. Il progetto coinvolge otto artisti italiani di grande talento. Deve essere stato un lavoro impegnativo. È stato difficile riuscire a coordinarsi? Come avete strutturato il lavoro? Ci sono mai stati momenti “difficili” durante la realizzazione della raccolta?

Ho avuto la grande fortuna di selezionare un team di creativi che al talento uniscono grande professionalità e passione per ciò che fanno. Perciò no, per fortuna non abbiamo dovuto superare particolari ostacoli, direi che tutto si è svolto con grande armonia e in un ambiente di lavoro (a distanza) sempre piacevole, cordiale, basato su un amichevole scambio di idee e, da parte mia, il tentativo di coordinare il tutto senza “imporre” nulla, affinché questo libro nascesse da scelte condivise e unanimemente approvate. Non sto parlando della direzione artistica come tale, che naturalmente doveva rispettare il più possibile la visione esposta nei romanzi perciò ha lasciato gli artisti liberi di esprimersi solo fino a un certo punto, ma proprio della collaborazione editoriale come tale. Questa è un’impresa che abbiamo scelto di affrontare da coautori, da pari, quindi non si è trattato semplicemente di “commissionare” agli artisti un certo numero di illustrazioni come farebbe magari una casa editrice: il libro va visto piuttosto come il frutto del lavoro di un collettivo, ognuno di noi è autore ed editore dell’opera.

3. Ci esponi almeno una tavola di ogni artista? Cosa ti ha colpito maggiormente?

Paola Andreatta ha uno stile che definirei in qualche modo “magico”, sa cogliere benissimo le atmosfere cromatiche e luminose, infondendo dettagli capaci di animare i luoghi di presenze incantate più o meno percettibili; oltre ad avere un grande talento nel delineare pittoreschi capi d’abbigliamento per i personaggi. Certe sue tavole hanno un’aura quasi rinascimentale o manierista, che mi fanno pensare ai tratti di un Giorgione o di alcuni suoi celebri coevi.

Michele D’Angelo è, nel gruppo, quello che definirei più “cinematografico”. Le sue tavole hanno quella spettacolarità epica di certe grandi locandine fantasy o sci-fi, quando le osservo cerco quasi con lo sguardo la scritta “a Natale nei migliori cinema” e poi resto deluso che non ne abbiano ancora fatto un film! Grandioso nel conferire profondità con il suo sapiente uso dei contrasti tra figure in primo piano e sfondi avvolti da foschie di sicuro effetto scenico, così come nella composizione, sempre basata su geometrie di forte impatto visivo.

Marco Pennacchietti per me è il più “avventuroso”, nel senso che le sue tavole mi fanno tornare con la mente alle illustrazioni delle edizioni novecentesche di grandi classici dell’avventura come i romanzi di Salgari o Stevenson, e osservandole sembra quasi di poter sentire in sottofondo colonne sonore alla “Two Steps from Hell”. Anche il suo modo ricercato di foggiare monili e manufatti ha quel tocco squisitamente esotico che li fa sembrare usciti da qualche dissepolto tesoro precolombiano in una missione di Indiana Jones!

Andrea Piparo è un artista dalla padronanza tecnica eccezionale, tra noi forse il più “fotografico” nel riprodurre gli effetti materici, le proporzioni e tutto quanto, ma nella sua arte la perizia tecnica non si traduce mai in freddezza stilistica, anzi, sa mantenere ed esaltare tutto il fascino fiabesco del più puro high fantasy e, per certi versi, mi ricorda anche uno dei miei idoli dell’illustrazione: il meraviglioso James Gurney (autore di Dinotopia) che tanta influenza ha avuto sul mio immaginario. È quindi un vero onore che il libro possa sfoggiare una sua copertina.

Giuseppe Rava è una “scomessa riuscita” di cui vado molto fiero, perché in un certo senso l’ho un po’ strappato dalla sua comfort zone abituale e lui ha dimostrato per l’ennesima volta la sua grandissima professionalità: stiamo parlando infatti di un vero “big” dell’illustrazione storiografica, le cui illustrazioni finiscono spesso sui manuali o sulle testate di settore, visto il loro livello di accuratezza culturale. Le sue stampe di battaglie e uniformi belliche sono ambite da collezionisti internazionali; e qui si cimenta invece (con ottimi risultati!) nel genere fantasy. Del resto il mio è un fantasy che da sempre flirta con l’eredità culturale delle antiche civiltà, per questo trovo che il connubio sia stato vincente e per nulla artificioso.

Anna Schilirò è un’artista di grande sensibilità, che si è sempre dimostrata incredibilmente intuitiva nel cogliere al volo l’essenza di soggetti e scenari già a partire dalle palette cromatiche. Il suo stile ammicca per certi versi anche alla graphic novel e al fumetto d’autore, e questo implica quella dose di personalità e impronta creativa che, ad esempio, rimpiangiamo dell’epoca d’oro dei lungometraggi d’animazione quando vediamo le recenti e spesso deludenti versioni live action. Se ho citato i film d’animazione del buon tempo tra l’altro è perché nell’arte di Anna mi sembrano riecheggiare alcuni ingredienti che da ragazzi ci facevano innamorare di pellicole quali, ad esempio, “Il Principe d’Egitto” o “Anastasia”, nei quali confluiva un savoir faire artistico e artigianale pazzesco.

Miriam Tritto è forse la più affine agli aspetti “ermetici” del mio lavoro, a quell’esoterismo simbolico dei manoscritti alchemici che entrambi amiamo, e che nella sua arte si traduce in figure emblematiche immerse in un alone di grazia estetica e incredibile raffinatezza cromatica. La sua è decisamente un’arte d’antan, che mantiene viva la delicatezza compositiva degli incunaboli e ruba la poesia degli acquarelli. I suoi disegni sono preziosi, ricordano certi pezzi rari che capita talvolta di trovare nei mercatini d’antiquariato e che vien voglia di conservare con ogni precauzione per paura che si rovinino.

Alessandra Valenti è in qualche modo l’artista del “sentimento”. Le sue tavole sono intrise di quella velata malinconia e romanticismo che furono cari, ad esempio, a grandi preraffaelliti quali Rossetti o Waterhouse (un periodo che adoro). A scapito di orpelli o dettagli barocchi, Alessandra si concentra appunto soprattutto sull’intensità emotiva in particolare della figura femminile, la quale infatti riveste una posizione dominante nella sua produzione; e anche le scenografie sembrano in qualche modo plasmate sugli stati d’animo delle sue donne ora ridenti, ora maestose, ora misteriose e solenni. Un elemento fra l’altro, quello del femminile, che nella mia saga trova da sempre ampio respiro e devota celebrazione, testimoniati dal gran numero di figure di spicco appartenenti al “gentil sesso” tra i personaggi sia primari che secondari.

4. Per un autore, veder trasformare le proprie idee in immagini deve essere una grande emozione. Cosa hai provato nel vedere le prime tavole realizzate?

Il mio caso è sicuramente particolare perché, come in parte già espresso in precedenza, in realtà sono stato abituato fin da subito a lavorare in parallelo tra scrittura e arte, in un rapporto simbiotico che ha funzionato un po’ nei due sensi: molte idee letterarie sono scaturite da disegni e molti disegni hanno preso spunto da cose che avevo scritto, arricchendosi quindi a vicenda. Detto questo, rimane ugualmente un’emozione indescrivibile quando anche altre persone riescono a entrare in risonanza con i mondi da te immaginati e descritti e a rappresentarli con tanta sensibilità da farti credere per un attimo che anche loro abbiano “camminato” in quei luoghi, vedendo le stesse cose che anche tu hai visto, accompagnandoti per un tratto di quel sogno ad occhi aperti.

5. Hai appena pubblicato “Tasar”, spin-off della trilogia “Pirin”, come si collega alla saga e a questo ArtBook?

Per ricollegarmi all’attualità televisiva e semplificare il concetto, mi verrebbe da dirvi che “Tasar” sta alla trilogia “Pirin” come “The Mandalorian” agli episodi canonici di “Star Wars”. Mentre Pirin descrive un mondo, un multiforme e brulicante telaio di vicende che si sviluppano su un arco temporale molto vasto, Tasar si concentra invece su un solo personaggio (personaggio inedito, fra l’altro, che cioè nella trilogia non compare). Non a caso, anche la narrazione qui è in prima persona e molto più concentrata sull’interiorità del protagonista anziché sulla descrizione “esteriore” delle vicende. In questo caso parliamo di un’interiorità divisa da una profonda spaccatura tra luce e tenebre, due personalità in conflitto che rendono questo romanzo il racconto di una guerra interiore prima ancora che esteriore. Gli eventi concreti spesso sfumeranno a semplice rumore di sottofondo, per lasciare spazio alla vera avventura di Tasar che si traduce, in sostanza, nella scelta di un destino. Ma questa scelta, in realtà, sarà posta nelle mani del lettore: il romanzo può seguire infatti due sviluppi, uno dei quali “luminoso”, che porterà Tasar su un sentiero di crescita personale nella foresta, per diventare un druido; l’altro “oscuro”, attraverso il quale Tasar sarà trasformato in uno spietato stregone sicario. Of course con due finali alternativi, ognuno dei quali si ricollegherà ad alcuni svincoli cruciali della saga. Quanto al legame con l’ArtBook, direi che proprio per via della sua natura molto improntata sugli aspetti psicologici Tasar potrebbe rivelarsi un romanzo più difficile da inquadrare nel suo contesto rispetto alla trilogia Pirin, perciò l’ArtBook potrebbe sicuramente aiutare a visualizzare meglio molti aspetti dell’ambientazione, le “radici” sulle quali queste nuove ramificazioni di trama si sono sviluppate.

6. Ci racconti un ricordo che ti ha emozionato durante la realizzazione del progetto?

Difficile scegliere, perché direi che sia proprio l’ArtBook stesso a costituire l’evento davvero emozionante e non vorrei esagerare o peccare di superbia – sicuramente potrei non essere abbastanza informato sul mercato editoriale – ma credo di poter affermare che si tratti di un prodotto abbastanza pionieristico e unico nel suo genere. Nel senso che, se escludiamo le grandi saghe, quelle dalla notorietà tale da essersi già guadagnate trasposizioni multimediali di fama mondiale (penso a “Il Signore degli Anelli”, “Il Trono di Spade” o “The Witcher”…), credo siano ben poche le saghe fantasy a potersi fregiare di un ArtBook, e tanto più di un ArtBook di tale pregio contenutistico. Non spetta certo a me giudicarne la qualità, saranno i lettori a farlo, ma almeno per quanto mi riguarda posso dire di essere assolutamente entusiasta del risultato. Tutti hanno fatto un lavoro a dir poco eccezionale che credo faccia innalzare di un ulteriore gradino l’asticella delle ambizioni di questo universo narrativo e la sua efficacia espressiva, portandolo una volta di più a distinguersi per originalità e potenziale immersivo.

7. Infine, una curiosità per i nostri lettori: a cosa stai lavorando adesso?

Va detto che questo 2020 ha scombinato non poco i miei programmi, ma lo dico assolutamente senza lamentarmene: tendo sempre a fidarmi quando il destino ci mette lo zampino, perché in genere questo ci permette di fermarci a riflettere, riconsiderare certi aspetti per perfezionarci, lasciar maturare le cose insomma, in attesa dei tempi propizi. Questo avrebbe forse potuto essere l’anno del debutto del mio primo film di fantascienza, la mia prima esperienza di regia (e non solo, perché ne ho curato gli aspetti più diversi, dalla sceneggiatura al design) intitolato “Symmes”. Avrei dovuto terminare le riprese in primavera, ma chiaramente l’emergenza sanitaria me lo ha impedito, perciò ora questo e un altro progetto di regia cui stavo iniziando a lavorare sono momentaneamente “sospesi” a data da destinarsi, in attesa che le cose tornino alla normalità. Dunque mi sono concentrato soprattutto su progetti editoriali e artistici: in primis questo ArtBook, ma sto anche lavorando a quello che sarà il primo fumetto ambientato nello stesso universo narrativo della saga dei Pirin. Si intitolerà “La Vita di An” e si concentrerà su vicende che potremmo definire anelli mancanti di congiunzione tra gli attuali prodotti multimediali della saga: i romanzi e il videogioco “Eselmir e i cinque doni magici” (Stelex Software), rivelando quindi importanti retroscena e relazioni tra personaggi. In realtà ho già altri progetti a più lungo termine in cantiere, alcuni dei quali sempre legati alla saga che verrà dunque ulteriormente arricchita su più fronti, ma di questo è presto parlare per il momento.

LA PASSIONE PER LA SCRITTURA, L’ARTE E IL FANTASY: INTERVISTA A SEBASTIANO BROCCHI was last modified: Aprile 16th, 2021 by Stefania Sottile
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