Bentrovati amici di Universo Fantasy.
Quello che vi presentiamo oggi è un libro di qualche anno fa, più precisamente del 1993, ma che ancora oggi viene considerato un vero e proprio capolavoro.
Stiamo parlando di Universo Incostante, di Vernor Vinge, pubblicato da Nord e splendidamente tradotto da G. Zuddas.
Di genere fantascientifico, l’opera vinse il Premio Hugo nel 1993 come miglior romanzo di fantascienza. L’edizione che vi presentiamo è del 2007.
Vernor Steffen Vinge, classe 1944, ha vinto il Premio Hugo per il miglior romanzo per ben tre volte (Universo Incostante, 1993, Quando la luce tornerà, 2000, e Alla fine dell’arcobaleno, 2007) e due per il miglior romanzo breve (Tempi veloci a Fairmont High, 2002, e I Simulacri, 2004).
Professore di matematica alla San Diego State University, abbandona la cattedra nel 2002 per dedicarsi interamente alla scrittura
Un’astronave atterra su un pianeta arretrato, abitato da esseri senzienti multi-mente che assomigliano moltissimo a dei lupi e i membri adulti dell’equipaggio vengono uccisi.
Si salvano solo Joanna (14 anni) e Jefri (9 anni) due fratelli che, ignorando ognuno che l’altro sia sopravvissuto, vengono accolti da due diverse fazioni in lotta tra loro.
Su un lontanissimo pianeta estremamente evoluto, l’esperta di dati Ravna parte insieme a due Skrode (una razza aliena di alberi evoluti) e a Pham Nuwen (un umano “riassemblato” da una potenza trascendentale) per salvare Jefri e recuperare sulla sua nave la “contromisura” in grado di distruggere una perversione, riemersa da un passato remoto, che minaccia di assoggettare l’intera galassia.
Vinge ci regala un racconto avvincente, con ambientazioni immersive e personaggi talmente ben costruiti da sembrare vivi.
La storia si muove attorno al piccolo gruppo di protagonisti con sullo sfondo gli eventi e le catastrofi che stanno devastando migliaia di civiltà e che arrivano al lettore solo tramite una serie di comunicazioni interstellari simili a dei telegiornali.
Questa scelta si rivela più che vincente e aumenta in modo quasi incredibile il livello di immersione nella lettura.
Concentrandosi sugli eventi che coinvolgono direttamente i nostri eroi, l’autore riesce ad approfondire moltissimo non solo la loro psicologia, ma anche quella dei personaggi che li circondano.
Risultano particolarmente ben riuscite le razze aliene degli Skrode e degli Artigli che ci hanno letteralmente affascinati.
Gli Skrode ricordano moltissimo gli Ent tolkieniani, salvo per il fatto che necessitano di piattaforme meccaniche per muoversi ed estendere la loro memoria a breve termine. Attraverso i loro movimenti, il comunicare tramite fruscii e ondeggiamenti, Vinge è riuscito a dipingere degli esseri straordinari, che sembrano balzare fuori dalle pagine.
Lo stesso successo lo ha ottenuto con gli Artigli.
Questi agglomerati di menti, che hanno bisogno di essere uniti in un aggruppo di cinque o sei menti – obbligate a rimanere vicine – per riuscire a costituire un intero, meriterebbero un libro dedicato solo a loro. Immaginate cosa possa significare dover avere sempre accanto qualcuno per essere una persona completa e, allo stesso tempo, dover mantenere a distanza chiunque altro per non rischiare di perdere se stessi? È un filo talmente sottile che sembra impossibile costruire un’intera società su questo concetto. Eppure non solo l’autore è riuscito nell’impresa, ma è riuscito anche a creare delle caratterizzazioni convincenti e variegate, che letteralmente incantano.
Per quanto riguarda le ambientazioni, invece, si passa dal progreditissimo Centrale (con i suoi moli orbitali e il suo mare spaziale artificiale) al pianeta quasi incontaminato di Artiglio, un mondo ancora chiuso nel proprio medioevo tecnologico.
In mezzo a questo solo il vuoto siderale.
Ed è interessante che, in un romanzo di fantascienza, lo spazio occupi così “poco spazio”. Lo si vive, infatti, solo attraverso gli schermi della plancia di comando della nave di Ravna e Pham, percependolo come un mare infinito di tempo, anche se, come in ogni storia spaziale che si rispetti, non può mancare almeno una battaglia.
Lo stile è ritmato, coinvolgente, serrato. Talmente accattivante che resta difficile staccare gli occhi dalle pagine e alla fine di ogni capitolo non si può fare a meno di pensare: “solo un altro…”
Insomma, consigliato davvero a qualunque amante del genere, di qualunque sesso, razza (aliena o meno) o età sia.
Voi lo avete letto? Cosa ne pensate? Diteci la vostra in un commento!