Perché si raccontano fiabe ai bambini? Perché rappresentano uno dei più bei giochi che bambini e adulti possano giocare insieme. Un gioco che non ha bisogno di oggetti (giocattoli) o di spazi (il cortile, il bosco) per essere svolto. Si sta seduti. Si gioca con le parole, con la mente, con le immagini, con i sentimenti. (Gianni Rodari)
Le fiabe costituiscono uno strumento di apprendimento e di sviluppo delle capacità immaginative, comunicative e relazionali del bambino. Attraverso il racconto, diventa possibile affrontare i desideri e le paure giornaliere, semplificando la complessità della realtà tramite un linguaggio semplice e incantevole.
I bambini, infatti, rivolgono tutta la loro attenzione al racconto – basti osservare le loro espressioni sognanti – si immergono negli scenari narrati, immedesimandosi con i personaggi che più sollecitano la loro soggettività. L’ascolto attivo verso le storie facilita la connessione emotiva con la storia e con il narratore.
Man mano che il bimbo cresce, sviluppando il pensiero e il linguaggio, la fiaba assume ancora più potere riflessivo e creativo. Perdersi in una storia consente al bambino di confrontare il racconto con la sua esperienza personale, con i conflitti che deve affrontare per le sue piccole vittorie quotidiane e le difficoltà che inevitabilmente gli si presentano. Il bambino si immerge nella fantasia attraverso uno “spazio transizionale” che, come afferma lo psicoanalista Donald Winnicott, si presenta come una zona intermedia tra mondo interno e realtà esterna. Ciò gli consentirà di distinguere tra realtà e fantasia e di costruire simbolicamente dei possibili scenari che verranno poi sperimentati nella vita reale.
La fiaba è un potente strumento relazionale. Il racconto prima di andare a dormire diventa una tradizione che rafforza il legame con il genitore. Il rapporto del bambino con i genitori (o con chi si prende cura di lui) rappresenta la prima forma di realtà sociale che sperimenta, con tutte le implicazioni riguardanti l’alternarsi di amore incondizionato e conflitto interiore. Il primo oggetto d’amore per ogni bambino è la madre, in quanto fornisce le prime cure essenziali che non veicolano solo nutrimento o cura fisiologica, ma divengono esperienza di relazione e legame emotivo. Come in ogni relazione affettiva, si contrappongono odio e amore poiché, come afferma lo psicoanalista Massimo Recalcati, amare qualcuno significa riconoscere che l’altro diventa in grado di suscitare nell’individuo una necessità, una mancanza, custodita dall’altro. Se l’altro non è presente, o non lo è nel modo in cui ce lo si aspetta, subentra la frustrazione. Nel neonato, essa viene gestita a livello inconscio attraverso un meccanismo di difesa primitivo chiamato scissione (Melanie Klein). Il bambino tende a dividere inconsciamente la madre in due parti: buona, quando c’è e soddisfa le esigenze del piccolo, e cattiva, quando vi è frustrazione per l’assenza. Come afferma Winnicott, il compito materno è quello di essere sufficientemente buona, ovvero capace di fornire cure e amore, lasciando al piccolo uno spazio di frustrazione. Sarà quello spazio a rendere possibile l’esplorazione del mondo e lo sviluppo di una propria autonomia. Diversamente, l’iper-presenza o la totale negligenza avrebbero risultati catastrofici.
Le fiabe intervengono dunque in questo momento delicato. In moltissime fiabe ritroviamo il personaggio della madre perduta, a volte morta, a volte semplicemente non menzionata, e della madre cattiva, raffigurata da una matrigna o da una strega. Così come avviene nella psiche del bambino, nonostante egli viva dei momenti di angoscia, la madre amorevole delle fiabe non può assumere delle caratteristiche di malvagità o abbandono, esse vengono incarnate dalla matrigna. La fiaba consente la messa in parola e immagine di tutte le paure del bambino, in maniera estremizzata. Così, la gelosia verso i fratelli o la paura di rimanere soli, abbandonati o rifiutati diventa il timore essere divorati come in Hansel e Gretel, discriminati e maltrattati come in Cenerentola, invidiati e quasi uccisi come in Biancaneve, rinchiusi in una torre come in Raperonzolo e così via. Rendere un solo personaggio totalmente cattivo permette di veicolare queste angosce del bambino verso quell’unica immagine fiabesca, di viverla simbolicamente ed elaborarla, lasciando intatta la figura della madre buona. Ciò preserva l’equilibrio psichico del bambino, consentendogli di affrontare il conflitto mentre vive un’esperienza incantata. Inoltre, la raffigurazione del personaggio cattivo consente l’esplorazione del conflitto interno verso quei desideri del bambino in contrasto con le norme morali:
La strega incarna i desideri, i timori e le altre tendenze della nostra psiche che sono incompatibili con il nostro io. (Carl Gustav Jung)
Tutto ciò avviene con un linguaggio semplice, immediatamente comprensibile per il piccolo e spesso attorniato dalla componente magica, che rende la fiaba più coinvolgente e che spinge il bambino a dire “raccontami una storia…ancora” .