Dopo l’inaspettato trionfo a Venezia, che ha di fatto aperto le porte del cinema d’autore ai cinecomics, si può affermare, senza troppi dubbi, che “Joker” di Todd Phillips è il film più atteso della seconda metà del 2019. È arrivato dopo mesi di speculazioni, critiche, complimenti e racconti dal set più o meno piacevoli ed in pochi giorni ha conquistato le sale del mondo, portando sotto le luci della ribalta il villain più famoso dell’universo DC.
Un lavoro davvero esoso se si considera le continue revisioni del personaggio dalla sua prima apparizione nel 1940 e che in realtà del passato di questo clown, prima di un faccia a faccia con Batman, si conosce davvero poco. Siamo quindi davanti una storia totalmente inedita che ha cercato di dare un’origine convincente a un personaggio che è un continuo sovrapporsi di maschere e di falsi sorrisi.
Ma prima di Joker c’era Arthur Fleck.
Siamo nel 1981 e Arthur è un clown, aspirante cabarettista, in preda ad una severa depressione e con un disturbo che gli provoca risate incontrollate nei momenti meno opportuni. L’uomo è una preda facile in una Gotham impoverita ed in preda al delirio, alla rabbia e alla violenza. Continuamente vessato, ignorato e incompreso, incapace di difendersi ed amato solo da sua madre Penny, la sua mente raggiunge presto il punto di rottura, portandolo a fondo, prima di farlo rinascere dalle sue ceneri come Joker.
Nel film non c’è spazio per nessun a parte Joaquin Phoenix, che prende ogni scena e se ne appropria con prepotenza, spinge a sé ogni attenzione, ogni sguardo. Suo è anche questo Joker, che lui accetta, smembra e poi rimette insieme nel modo più doloroso e alienato possibile.
Tutti gli altri personaggi non sono altro che ombre sfocate, sullo sfondo di rinascita decadente di cui siamo spettatori.
Joker è un film di metamorfosi, di una violenta evoluzione nata, come tutte le evoluzioni, dalla stessa necessità: la sopravvivenza in un mondo ostile.
Facciamo la conoscenza di Arthur quando lui ha toccato il fondo, all’apice della sua infelicità. Il suo dolore, la sua rabbia, la violenza lui li ritorce tutti contro sé stesso, e il suo corpo, non sano, ne è la prova. Lui spinge tutta questa negatività nel profondo e impacchetta tutto con un bel sorriso.
Arthur all’inizio del film è, per quanto paradossale possa sembrare, innocuo. È la società che lo abbandona, le persone che lo vessano e le ingiustizie che subisce di continuo a distruggere il suo equilibrio precario e lo portano ad una prima efferata violenza.
E da questa violenza rivolta finalmente verso gli altri, lui trova un inaspettato giovamento: dirigendo la sua rabbia verso gli altri, lui può finalmente prendere fiato ed essere “felice”, danzare quasi librandosi in aria, sicuro di sé.
Ed è qui che l’idea di Joker prende forma, perché il suo atto, che dovrebbe essere condannato dalla società, avviene in un ambiente così marcio da essere celebrato. Arthur che non è mai stato davvero “visto” nella sua vita si rispecchia ovunque: la gente comune con cui lui si identifica, si identifica in Joker a sua volta. A questa fama, che lui ha sempre desiderato, Arthur non sa dire di no.
E da questa sorta di glorificazione il film riprende un altro degli elementi più interessanti del personaggio, che sotto certi aspetti quasi giustifica il mistero che ha sempre avvolto il clown, questa convinzione che Joker non sia semplicemente una persona, ma un’idea, un concetto che si fa spazio nella società e che non può essere più estirpato.
Tutti questi elementi sono stati intrecciati magnificamente nella sceneggiatura, che ha avuto l’arduo compito di dare un’origine a Joker, che fino ad ora non aveva neanche avuto un nome e che non aveva origini ben delineate. “Joker” quindi ha finalmente dato un passato al personaggio, per quanto non canonico e a tratti non conforme a ciò a cui i fan di Batman sono abituati.
La regia di Phillips si tiene stretta il protagonista, senza mai lasciarlo andare e ne tira fuori gli aspetti più umani e raccapriccianti. La violenza del film è sì cruda e diretta, ma meno esplicita di quanto ci saremo potuti aspettare, ma non per questo meno efficiente: la rabbia e la determinazione di Arthur nel perpetrare questi atti rendono queste scene scioccanti, ma senza trascinare il film nel rating +18. Ad accompagnare il tutto una fotografia che aggiunge un ulteriore livello di decadenza a Gotham e ai suoi abitanti e delle musiche perfette per questo viaggio nell’instabilità mentale del protagonista.
Alla fine si esce dalla sala con la convinzione che “Joker” sia un film scomodo, inaffidabile, che apre, senza filtri, le porte della mente del protagonista allo spettatore, che è raccapricciato da tanta violenza, ma che allo stesso tempo compatisce un uomo che viene schiacciato da un sistema che lo percepisce come invisibile.
E voi cari lettori, siete andati a vederlo? E se l’avete fatto, cosa ne pensate? Fatecelo sapere con un commento!