È la definizione ristretta e limitata che date voi umani a questo genere di esseri. Le cose, invece, sono molto più complicate di così. Io preferisco definirli Esseri che non si Arrendono. Hanno ancora molto da fare, e non passano mai di Là, qualunque posto sia. Ignoro dove si vada dopo la morte, ma spero che la mia gente sia in un bosco.
Non è un’impresa semplice recensire un romanzo per il quale si ha la certezza che l’autore abbia messo così tanto di sé al suo interno. Diventa però più bello quando lo stesso romanzo vuole essere non solo uno strumento di diletto letterario, ma anche un’ottima fonte di conoscenza di qualcosa che va al di là del fantasy.
“Nandèra” di Pierluigi Cuccitto fa proprio questo. Si tratta del primo romanzo di una trilogia, che ci racconta la storia di Joan, un ragazzo tanto simile agli altri, quanto differente. Il protagonista riceve la visita del mago Boreo, che si è convinto che lui sia “il ragazzo della profezia” (l’abbiamo già sentita, forse… ), vuole che diventi il suo erede e che porti avanti la magia a Nandèra. Essa infatti rischia di essere definitivamente cancellata dal paese stesso, soppiantata da una sorta di setta che vuole imporre il suo credo fatto di “Rapidità, Efficienza e Non perdere tempo”. E qui entra in gioco il lato più personale dell’autore stesso. Joan difatti rappresenta la disprassia, disturbo che coinvolge lo stesso autore.
La disprassia è un disturbo che riguarda la coordinazione e il movimento, una difficoltà di compiere gesti coordinati e diretti ad uno specifico fine. Ad esempio, questa condizione spesso causa difficoltà nel riordinare le fasi di un avvenimento, a trarne un sunto, nonché ad usare una terminologia adatta, poiché chi ne ce l’ha perde facilmente memoria dei passaggi che regolano linguaggio e comprensione.
Ci viene facile quindi capire come il personaggio di Joan si trovi totalmente fuori luogo in un mondo che lo vorrebbe piegare ad una velocità di esecuzione, di ragionamento che la sua essenza non può avere. La sua vita è una vita “modellata su ritmi rallentati”, per utilizzare le parole dello stesso autore.
Tutta la lettura, che ho trovato estremamente piacevole sia per lo stile e per la qualità molto alta della narrazione stessa, mi ha fatto risuonare nel cervello una canzone un po’ vecchiotta di Luciano Ligabue, forse meno conosciuta al grande pubblico, che dice appunto “Correvo come un matto ma tutti gli altri eran davanti, cos’è che non va? Brutta storia, dico: corro, corro e resto sempre in fondo. Sono fuori allenamento oppure è allenato il mondo?”.
È un romanzo che mi ha fatto pensare molto al fatto che tutti noi oggi siamo sottoposti allo stress di dover raggiungere dei traguardi, di dover essere rapidi altrimenti si viene considerati quasi ai margini della società e dei falliti. Ciò che ho apprezzato maggiormente è proprio questa costante rivendicazione dell’essere sé stessi.
Abbiamo bisogno tutti di fermarci a sognare, di rivendicare il nostro mondo fiabesco, così come specialmente dovrebbero fare i bambini. Il nostro è davvero un mondo impietoso con i sognatori, con le persone meno concrete, furbe e rapide, esattamente ciò che non è Joan. Ed in ciò sta la sua bellezza.
Quello di Cuccitto è dunque un romanzo-fiaba che usa il fantasy per parlare al cuore di tutti noi, che sfrutta un genere letterario come la fiaba esattamente per la funzione è nata: utilizzare personaggi fantastici e situazioni fantasiose con un intento formativo e di crescita morale. La formazione culturale dell’autore si fa dunque sentire nella scelta del tema e del genere stesso. Il romanzo è poi dedicato ad Italo Calvino, autore della raccolta “Fiabe italiane”.
Sono davvero molto contenta di avere avuto l’onore di poter recensire questo romanzo, che mi ha permesso di ampliare le mie conoscenze e di rifugiarmi in una fiaba come ai vecchi tempi.
Complimenti Pierluigi!