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RECENSIONE “COCO”: CERCANDO DI MANTENERE UNA DIGNITÀ E NON PIANGERE

coco

Finalmente siamo riuscite ad entrare in sala a vedere Coco.

Lo aspettavamo con impazienza, tipo dal dià de los muertos, ma tra un pandoro e un panettone (con i canditi) siamo arrivati fino a Gennaio. Quindi cerchiamo di non perdere più tempo e di andare subito al dunque.

Primo appunto da fare prima della parte bella (almeno si suppone) di questa recensione:

I 18 minuti di cortometraggio di Frozen.

Che ci vuole coraggio a chiamarlo cortometraggio, visto che dopo soli 18 minuti (di cui 15′ di canzoni davvero poco orecchiabili) eravamo stremate peggio del post Cat Skin.

L’idea non era neanche così brutta, nonostante ormai Let it Go sia un incubo ricorrente; ma 5 minuti erano più che sufficienti per creare un piccolo e PIACEVOLE spezzone natalizio. E invece no!  “Le Avventure di Olaf ” è stato peggio della tortura cinese della goccia, sia per gli adulti che per i bambini!
La concentrazione dei più piccoli era andata a farsi benedire già all’attacco della seconda orecchiabilissima canzoncina (che distava ben 110 secondi dalla precedente!…(MA CHI CACCHIO HA AUTORIZZATO STA COSA!? MA ‘NDO STIAMO A SANREMO????)

Aggiungiamo che il doppiaggio è, se possibile, peggiorato dai tempi del film originale e che le uniche note a favore di questo obbrobrio sono solo due:

Risultato? Dopo 20 minuti di cortometraggio, la Disney si era giocata più della metà del suo pubblico, ben poco propenso e prestare attenzione al film.

Come buttare anni di lavoro. BRV. GG.

Ma fortunatamente siamo finalmente passati alla parte bella. Anzi bellissima. Anzi straordinaria. Anzi vi farò avere un aggettivo definitivo prossimamente, perché sto ancora processando quello che abbiamo visto.

La verità è con Coco è stato amore a prima inquadratura. Amore che poi è cresciuto in maniera esponenziale fino ai titoli di coda. E la Disney dovrebbe fare una statua d’oro zecchino a chiunque abbia partecipato a questo progetto perché non si vedeva un film così bello da anni.

La storia segue Miguel, che sogna di diventare un musicista come il suo idolo; l’unico ostacolo è rappresentato dalla sua famiglia. La capofamiglia, Mamà Imelda, lasciata dal marito musicista, si era ritrovata a crescere da sola la figlia Coco, bisnonna di Miguel. Per proteggere la piccola dalla sofferenza dell’abbandono, Imelda aveva bandito per sempre la musica nella sua famiglia. Il sogno di Miguel, quindi, lo porterà ad entrare in contrasto con il resto dei familiari, quelli ancora in vita e quelli ormai già nell’aldilà.

Riusciranno a resistere a questo faccino? I don’t think so…

Prima di parlare dei personaggi, lasciateci dire due parole sugli accorgimenti tecnici, se così vogliamo chiamarli.

Cominciamo dicendo che nel film possiamo vedere tratti a noi già familiari:
in primo luogo, come per Moana, abbiamo un abbinamento tra animazione 2D e 3D, ed anche un utilizzo di colori fluorescenti, stessa tecnologia utilizzata nel film del 2016; il character design sembra uno strano (ma bellissimo) mix tra Oceania, Up, Inside Out e Brave; funziona benissimo, sia per la cura dei dettagli sia per la caratterizzazione, semplice ma maniacale, di ogni singolo personaggio. Ma non parliamo solo dei riferimenti alla new generation. Questo nuovo gioiellino Pixar ha saputo come strizzate l’occhio anche a noi spettatori Disney veterani: l’alebrije Pepita per anatomia ricorda tantissimo il leopardo Sabor di Tarzan ed, in ultima analisi, qui è li percepiamo anche qualche riferimento a Kubo e a El Dorado; cosa plausibilissima, visti i rimescolamenti che stanno avvenendo negli ultimi anni tra gli animatori dei vari Studi.

Nota per le musiche, che per la prima volta da anni ci piacciono molto di più nella versione italiana che in quella inglese. Ottimo lavoro anche con il doppiaggio che ci ha fatto dimenticare la brutta parentesi di Moana (perché noi Vaiana non lo accetteremo mai).
Ed ora partiamo con il CocoNomination dei personaggi straordinari:

Hector è un amore, Migel anche di più e chiamare Dante un cane che fa da guida nel Regno dei Morti ci fa sentire molto a nostro disagio. New Trio del cuore.
Mamà Imelda è una Queen, badass dal primo all’ultimo secondo della pellicola. Piangiamo nella consapevolezza che non potremmo mai essere toste come lei, neanche in un’altra vita Mamà Coco invece è di una tenerezza assurda e ogni volta che la si vede viene davvero tanta  voglia di abbracciarla; desiderio che non fa altro che aumentare man mano che si ci avvia alla conclusione, perché non ci veniva tanto da piangere dai tempi di “Tadashi è qui“.

La situazione era così tragica che una famiglia è dovuta uscire dal cinema perché un bambino ha cominciato a piangere, troppo triste al pensiero che la storia finisse male. I tentativi della madre di convincerlo sul lieto fine sono stati palesemente ignorati.

Sottolineamo, oltre ai personaggi del cuore, le scene del cuore: prima su tutte il bitch slap di Imelda, seguito a parimerito dalle scene di Ricordami  e dal bellissimo primo ingresso nel regno dei morti; al cinema toglie completamente il fiato.

In conclusione, siamo davanti al miglior film della Pixar dai tempi di Ribelle- The Brave. Unico neo, se così può definirsi, è che magari un pubblico adulto si ritrova ad immaginare il finale fin troppo presto, ma la consapevolezza non rende per nulla ciò che vediamo meno piacevole, grazie soprattutto ad un’ottima narrativa, con delle svolte e dei climax molto ben giocati, soprattutto per un film di animazione.

In ultima nota VOGLIAMO UNA PEPITA NELLA NOSTRA VITA!

Articolo già pubblicato su Loserpants.

RECENSIONE “COCO”: CERCANDO DI MANTENERE UNA DIGNITÀ E NON PIANGERE was last modified: Gennaio 25th, 2018 by Loser Pants
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