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“STAR TREK – DISCOVERY”: LA SCOMPARSA DEL POSITIVISMO?

Star Trek: Discovery

“Star Trek: Discovery”, poster

La si aspettava ormai da un decennio una nuova saga targata Star Trek, ed eccola prodotta nientepopodimeno che da Netflix. Sto leggendo molto dopo le prime tre puntate in giro sui social, dagli entusiasti agli scettici ai puristi indignati.

Ecco i miei due soldi.

Iniziamo dal fatto che sia stato scelto un periodo storico poco noto, ovvero quello che condusse James Tiberius Kirk a combattere e detestare visceralmente i Klingon. Trenta sono gli anni (prima) che separano la prima Enterprise da questo nuovo vascello, Discovery (e non Enterprise e questa è già una notizia).

La sigla è graficamente godibile, ben curata, moderna, dinamica e così sono anche le musiche. Inoltre non manca il gingle classico di Star Trek che mi fa sempre venire la pelle d’oca. Ora, diciamocelo, di vedere navi della Federazione Unita dei Pianeti sfrecciarci davanti eravamo piuttosto stufi. Quindi niente male, coraggiosi.

Graficamente parlando, noto una cura estrema nel costruire ambienti perfettamente compatibili con quelli classici, chiarendo che la tecnologia di questa serie surclassa quella della serie classica, ma ci sono anche quasi cinque decenni tra le due, se avessi visto una balaustra in plancia avrei potuto gridare (tra l’altro avrei anche fatto un esposto al provveditorato del lavoro in quanto non a norma 626). Mi piacciono molto invece gli schermi solotouch, gli ambienti aperti, la presenza storica della poltrona del capitano e della sua saletta. Le navi stellari federali sono perfettamente in linea con la tradizione, sebbene aggiornata al nostro gusto.

Visivamente lo stravolgimento è sui Klingon. Non sto a indagare i motivi della scelta compiuta dagli autori, ammetto qui di aver faticato, non tanto per le creste (molto accentuate) che li rendono meno umani, quanto piuttosto per il vestiario troppo barocco e il linguaggio troppo dolce nelle pronunce, PTAK! Se non altro i Klingon restano fedeli a quello che sono, guerrieri.

I primi due episodi hanno l’ariosità di un vero e proprio film, li avessero uniti non avrebbe dato fastidio, e servono a presentare la protagonista, Michael Burnham, umana allevata su Vulcano dall’ambasciatore Sarek, padre di un certo Mr. Spock.

Anthony Rapp, interpreta Paul Stamets

Questa è il primo ufficiale sulla Shenzhou, che al confine federale s’imbatte in una nave misteriosa. Michael, capito che si tratta di Klingon, suggerisce al suo capitano di attaccare, ma questa esita dando così il tempo alla nave di lanciare un segnale e chiamare a raccolta le ventiquattro casate dell’Impero per scatenare la guerra. Michael a quel punto, con una tipica mossa vulcaniana, mette fuori gioco il capitano e tenta un ammutinamento per aprire il fuoco, ma niente da fare, fallisce viene incarcerata e condannata al carcere a vita, ei mastini della guerra iniziano il gioco.

La serie vera e propria inizia dall’episodio tre, in cui appare la Discovery e il suo strano e misterioso capitano, Gabriel Lorca. Da subito appare evidente che il modo di operare sulla nave non è affatto chiaro così come i suoi scopi e che ci sia molto sotto al coperchio. A iniziare dal modo in cui la Burnham finisce a bordo, quasi rapita durante un trasporto in un carcere federale. Finalmente oserei dire una serie in cui parrebbe che il viaggio costante alla scoperta di nuovi strani mondi non interessa, qui c’è da combattere una guerra. Punto. E in guerra servono armi e tecnologie e per ottenerli non ci si debbono fare troppi scrupoli. Insomma una visione del mondo federale poco idilliaca, piuttosto oscura e distante dall’ottimismo quasi positivista della serie classica. Credo in questo abbiano un certo ruolo i tempi che viviamo e in questo apprezzo le scelte narrative Oscure fatte dagli sceneggiatori. Sono cresciuto a pane Nutella e Star Trek, credo di avere visto tutte le puntate di tutte le serie e questa  la trovo entusiasmante, finalmente nuova. I ritmi sono differenti. Le atmosfere più cupe. Ma resta pur sempre un viaggio, la ricerca di qualcosa, la lotta per sopravvivere.

Il fattore distintivo della poetica di Roddenberry è la visione ottimista del futuro. Ha creato un mondo in cui tutte le specie e tutte le razze si uniscono non solo per rendere migliore il nostro mondo, ma per rendere migliore ogni mondo. Penso sia qualcosa che non deve mai andare perduto nella serie. […]

Detto questo…viviamo in tempi molto diversi. Ogni giorno guardiamo le notizie ed è difficile vedere quello che accade. Penso che ora più che mai Star Trek sia necessario come promemoria di quello che possiamo essere. […]

Star Trek è sempre stato uno specchio dei tempi e adesso la domanda è come si preserva e protegge quello che la Flotta Stellare rappresenta di fronte a una sfida come una guerra e tutte le cose che accadono in guerra – è una domanda molto interessante e sensibile. E sembra come una domanda molto attuale visto il mondo in cui viviamo oggi.

Sonequa Martin-Green, interpreta Michael Burnham

(Il produttore esecutivo Alex Kurtzman)

Il meccanismo che era sempre stato alla base di Star Trek sembra spezzato. Missione, scoperta di oggetto/razza/situazione insolita, problema e sua risoluzione. Qui il respiro narrativo pare molto più ampio, il modo di costruire le serie tv è profondamente cambiato e si vede. Il disegno che sta dietro è tracciato e lo si intuisce subito, anche dall’assenza dei colori classici giallo-rosso-azzurri per le divise. Qui tutti blu intenso e oro con il solo badge a distinguere i ruoli. I personaggi principali non sono tanti, scelta saggia, ma immediatamente d’impatto.

Spero che le puntate successive si mantengano saldamente su questa intelligente scelta narrativa, senza strizzare l’occhio al buonismo classico, e credo che avremo una nuova splendida avventura che ci porterà lì dove nessun uomo è mai giunto prima (non potevo non scriverlo).

Per chi se lo fosse perso, sotto il video.

“STAR TREK – DISCOVERY”: LA SCOMPARSA DEL POSITIVISMO? was last modified: Novembre 19th, 2017 by Redazione
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